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Non stupitevi se la seconda esperienza di lavoro che vi proponiamo è questa: ponetevi davanti ad uno specchio e cercate di disegnare il vostro viso, il viso o il busto intero se preferite, magari fino alla cintola, comprese le braccia e le mani.
Perché l’autoritratto? Ma perché “giochiamo in casa”, come direbbero gli sportivi, e cioè affrontiamo un argomento che abbiamo spesso davanti agli occhi e che… crediamo di conoscere.
Crediamo soltanto, in quanto non lo conosciamo in realtà, abituati come siamo alla nostra immagine che guardiamo sempre e che, probabilmente, fino ad oggi, fino a quando, cioè, non proveremo a disegnarla, non abbiamo ancora mai visto veramente. Come sono, per esempio, i nostri occhi? Vicini, ben distanziati? E il naso, la bocca, le orecchie? Non è facile, certo, disegnare il nostro viso, ma neanche impossibile, soprattutto se non pretenderemo, in questo primo tentativo, di riuscire ad esprimere tutto quello che penseremo o vedremo.
Il problema principale, si sa, sono le proporzioni, i rapporti tra le varie parti del viso. Da dove possiamo cominciare?
Alcuni disegnatori, quando fanno un ritratto, cominciano dall’occhio; altri dall’asse del viso (se visto di fronte), sul quale segnano le proporzioni dei vari elementi (la linea degli occhi, delle narici, della bocca, del mento); altri ancora dalla linea orizzontale degli occhi (o delle sopracciglia) e dalla linea inclinata del naso (se il viso è visto di tre quarti), sulle quali compongono poi la forma del viso.
Insomma, non c’è una regola fissa. Mettetevi davanti allo specchio e provate.
Disegnate, almeno all’inizio, con la matita e se credete (io ve lo consiglierei) usate il quadro: ponetelo tra voi e lo specchio alla distanza più adatta, quella, cioè, che vi consenta l’inquadratura del vostro viso che preferite. In ogni caso, il quadro vi aiuterà molto con i riferimenti degli assi, ma soprattutto vi aiuterà la volontà di vedere, di capire la forma vera dell’occhio, del naso, delle labbra, e il piacere di scoprire come siete.
L’autoritratto di Van Gogh
Per capire come abbiano affrontato gli stessi problemi i maestri del disegno, osserviamo il disegno riprodotto in questa pagina; è un foglio con autoritratto di Vincent van Gogh, disegnato probabilmente verso il 1888 e reso ancor più interessante dallo studio dei particolari: il naso, visto di fronte, e l’occhio sinistro. Il disegno, iniziato a matita (lo schizzo in basso è rimasto a sola matita), è stato ripassato a penna solo in pane (gli occhi, il naso, la guancia destra, parte dei capelli); non a caso, certamente, perché la ricerca si precisa ed accentua proprio sugli occhi e sul naso. Di questa ricerca, della fatica e del dramma di diventare pittore, testimonia l’epistolario di Vincent van Gogh (da cui è tratto questo schizzo) che si snoda durante diciotto anni, dall’agosto 1872 fino alla morte, sopravvenuta il 27 luglio 1890: nessun documento umano nella storia della pittura è così preciso, puntuale, impietoso nell’analisi e nel racconto di che cosa significhi volere dipingere. Man mano che si procede nella lettura
della fitta corrispondenza di Vincent con il fratello Théo, e ci si addentra nella lunga, appassionata confessione, sempre più incalzante va delineandosi il dramma del divenire pittore, del ritrovamento dell’arte. L’arte diventa il “mestiere di vivere” ed è questo mestiere della vita che Van Gogh contrappone disperatamente ad ogni altro lavoro.
Perché le lettere di Van Gogh costituiscono un documento che fa pensare? Perché non è più soltanto un risvolto dell’animo dell’autore, un lato o più lati della sua vita che vi sono illustrati: è l’anima che è messa a nudo, è la vita intera di un uomo analizzata impietosamente, minuto per minuto; è tutto il mondo interiore, con le infinite relazioni dell’universo che è intorno, ad essere posto sul tavolo anatomico per essere vivisezionato con una lucidità tragica e sinceramente emozionante.
La libertà e la regola
Sfatiamo subito quella che sembra una difficoltà insormontabile, o almeno tra le più ardue: la verosimiglianza, la corrispondenza al modello.
Ogni epoca interpreta la figura umana secondo uno stile ed ogni artista, interprete della sua epoca, vede e disegna secondo la sua personalità.
Sappiamo che, prima ancora di rappresentare, disegnare significa conoscere: il disegno, proprio in quanto tale, è sempre il tentativo di potenziare la realtà, di esprimere una realtà più viva di quella che normalmente vediamo.
C’è l’esempio dei disegni incisi dagli egizi (ma anche di tanti disegni o delle pitture di Picasso). Ebbene, noteremo che in quelle immagini ci sono volti umani rappresentati di profilo: con l’occhio disegnato invece di fronte; ma sono più vivi del vero. Perché? Ma perché nel volto umano ci sono due evidenze più significative: il “profilo” e l’occhio visto frontalmente.
La sintesi spontanea di questi due elementi in un disegno non è allora un mostro, ma un uomo più vero, più vivo di quello che stancamente, usualmente vediamo o, meglio, guardiamo.
Con questo, non voglio assolutamente consigliarvi di disegnare in un modo piuttosto che in un altro; vorrei soltanto riaffermare la libertà della concezione e del disegno, del modo di vedere, di pensare e di interpretare.
Le proporzioni
Naturalmente esistono anche delle norme che regolano forme e proporzioni, e molti artisti le hanno provate, studiate, teorizzate. Leonardo, nei suoi studi d’anatomia, si serve di moduli per stabilire i punti essenziali delle membra e le proporzioni varie del corpo tra di loro, alla ricerca di una regola e di una proporzione ideale. Come si vede dallo schizzo qui sopra riprodotto, lo studio delle proporzioni consiste nell’inserire la testa, vista di profilo, in un rettangolo che la comprende, sul quale è sovrapposto un reticolo di linee e misure. Da queste si deducono le proporzioni della fronte, del naso, delle labbra, del mento: si nota, per esempio, come la distanza del labbro superiore dal naso sia in questo caso uguale a quella del labbro inferiore dal mento, come la linea orizzontale del sopracciglio tocchi la parte superiore dell’orecchio o come la misura dell’orecchio sia uguale a quella del naso. o che essa è concava o che essa è dritta. La fronte ha tre varietà, o che essa è piana, o che essa è concava, o che essa è colma (cioè in fuori)». Subito dopo dà preziosi consigli per chi voglia « tener a mente le forme di un volto». Consiglia di appuntare su un libretto le varie forme del naso, della bocca e delle altre parti, e «quando hai dato un’occhiata al volto della persona che vuoi ritrarre guarderai poi in parte quel naso o bocca che gli assomigli, e gli farai un piccolo segno per riconoscerlo poi a casa e metterlo insieme». Riscontrando in natura più forme di bellezza relativa, come farà poi Durer, rinunzia al mito della proporzione unica e ideale: «Le bellezze dei volti possono essere in diverse persone di pari bontà, ma non mai simili in figura, anzi siano di tante varietà, quanto il numero a chi quelle sono congiunte».
Nel Trattato della pittura, Leonardo specifica le sue teorie. Dopo aver precisato che «la gobba» del naso può essere almeno di otto tipi, scrive ancora: «l’appiccicatura del naso col ciglio è di due ragioni, cioè, Egli accentuerà le caratteristiche dei volti fino alla caricatura, oppure, come nelle fisionomie dei personaggi dell’Ultima Cena, cercandone il tipo anche valendosi delle sue conoscenze astrologiche, per conferire ad ogni personaggio le caratteristiche del suo segno.